Tratto da “Il ruolo della percezione nel processo di simbolizzazione musicale”, secondo capitolo della mia tesi di Diploma Accademico di I Livello.
Nelle sue operazioni di analogia tra ciò che viene percepito ed un referente esterno, la mente è favorita non solo da relazioni isomorfiche, ma da precise tendenze dello strumento stesso della percezione: il corpo. È un’esperienza comune quella che vede prodursi nella psiche fenomeni inerenti all’apofenìa1, quali la pareidolia, definita come la tendenza istintiva ed automatica del cervello a ricondurre a forme familiari percezioni visive o acustiche (pareidolia acustica) di varia natura. La percezione sembra favorire e selezionare alcune interpretazioni particolari, per esempio il riconoscimento di volti umani. Per tale fenomeno sono state avanzate ipotesi che riconducono una simile tendenza a ragioni di natura evolutiva, in quanto la capacità di riconoscere volti sarebbe stata un’abilità essenziale alla sopravvivenza. Richard Wollheim, nel suo Art and its Objects, osserva:
Quando attribuiamo un significato espressivo ad un oggetto naturale o ad un manufatto, tendiamo a vederlo corporalmente: ossia tendiamo ad attribuirgli una particolare sembianza che presenta una marcata analogia con qualche sembianza che il corpo umano assume, la quale è costantemente congiunta ad uno stato interiore.2
In altri termini, la percezione umana tende ad animare il percepito, attribuendogli delle sembianze che sono proprie del corpo. Le considerazioni di Wollheim, implicano un processo di rinvio dalla natura duplice: anzitutto si instaura un’analogia tra le sembianze di un dato oggetto (la musica, nel nostro caso) e una certa modalità assunta dal corpo, inoltre a quest’ultima viene associato uno stato interiore. Se è vero, come osservato in Hanslick al precedente capitolo, che la musica «può imitare il movimento di un processo psichico secondo le sue diverse fasi»3, significa che essa può – per induzione – evocare determinati atteggiamenti corrispondenti a quel processo psichico. Una modalità di rinvio quale quella descritta, fornisce all’arte dei suoni orizzonti di rinvio immensi. Tali considerazioni ci conducono direttamente alla possibilità della musica di produrre percezioni fisiognomiche. Marconi approfondisce l’argomento partendo da delle osservazioni di Heinz Werner:
La dinamizzazione delle cose fondata sul fatto che gli oggetti sono sperimentati soprattutto attraverso l’atteggiamento affettivo e motorio del soggetto può condurre a un particolare tipo di percezione. Le cose percepite in questo modo appaiono ‘animate’ e, anche se sono in realtà senza vita, sembra che esprimano una qualche forma interiore di vita. Tutti noi, qualche volta almeno, abbiamo fatto questa esperienza. Per esempio un paesaggio sembra all’improvviso esprimere un certo umore, può essere allegro, o malinconico, o pensieroso. Questo modo di percepire è radicalmente diverso dalla solita quotidiana percezione in cui le cose vengono conosciute in base a quelle che potremmo indicare come le loro qualità reali, ‘fisico-geometriche’. Nel nostro ambiente vi è un campo in cui gli oggetti sono comunemente percepiti come se esprimessero direttamente una vita interiore. Ciò avviene nella nostra percezione dei visi e dei movimenti corporei degli esseri umani e degli animali superiori. Poiché la fisionomia umana può essere adeguatamente percepita solo in rapporto alla sua espressione immediata, ho proposto il termine di percezione fisiognomica per questo modo di conoscenza.4
È lo stesso Marconi a proporre un esempio di percezione fisiognomica applicata alla musica tratto dall’articolo The Corded Shell di Peter Kivy, il quale sostiene che in certi casi un brano musicale può risultare non espressione di, ma espressivo di una certa emozione, allo stesso modo in cui il muso di un San Bernardo è espressivo di tristezza (in quanto alcuni suoi tratti somigliano all’espressione umana associata alla tristezza), sebbene il cane non sia affatto triste. Analogamente, prosegue Marconi, è possibile che alcuni brani – per esempio l’inizio del Lamento d’Arianna di Monteverdi – siano espressivi di un’emozione (nell’esempio proposto la tristezza) in quanto alcuni loro andamenti instaurano una relazione di isomorfismo con la voce umana quando questa esprime tale emozione. Essendo l’analisi fisiognomica dei caratteri della voce denominata fonognomica, definiremo questo tipo di percezioni come fonognomiche.
- L’apofenìa, (dal greco ἀποφαίνω, «apparire, mettere in luce, far diventare») è definibile come l’attitudine di un individuo a riconoscere schemi o connessioni tra informazioni che non hanno una significativa correlazione logica. ↩︎
- Wollheim, Richard, Art and its Objects, Cambridge, Cambridge University Press, 1980, p. 22, traduzione di Marco Lizzeri. ↩︎
- Hanslick, Eduard, Il bello musicale, a cura di Leonardo Distaso; Palermo, Aesthetica Edizioni, 2007 (prima edizione: 2001) ↩︎
- Marconi, Luca, Musica Espressione Emozione, Bologna, CLUEB, 2001; citazione tratta da Comparative Psychology of Mental Development di Heinz Werner, Chicago, Follett Publishing Company, 1948. ↩︎